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Franco Arminio

Brani scelti da La cura dello sguardo.

 

LA CURA DELLO SGUARDO. La cura che propongo è la cura dello sguardo. Sono convinto che molte malattie entrino dagli occhi e dalle parole. Le cose che ci sono state dette, gli sguardi che abbiamo subito, sono anche più potenti di agenti patogeni esterni che possono transitare nell’aria o nel cibo. Non siamo un luogo a sé stante, apparteniamo alla comunità di tutte le presenze, quelle visibili e quelle invisibili. Si può ignorare la fisica quantistica, si può ignorare la chimica, ma noi siamo prima di tutto pezzi di natura, siamo apparizioni misteriose, e il mistero riguarda anche il nostro congedo dal mondo.

 

Al punto in cui siamo arrivati dobbiamo prendere atto di una cosa: siamo troppi e troppo invadenti rispetto alle altre creature del pianeta. Il nostro modo di procurarci il cibo ha tratti largamente disumani: bisogna cambiare abitudini immediatamente e discutere con chi non lo vuole fare. Mangiare tanta carne e produrre armi non si può dire che siano alte conquiste di civiltà. Se vogliamo stare assieme nella casa del mondo non possiamo dare per scontato che un manager debba guadagnare cinquecento volte più di un operaio. Se vogliamo mettere al centro del nuovo mondo la salute delle persone, allora dobbiamo fare una seria battaglia contro l’inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua, contro la concentrazione urbana e il deserto rurale.

 

Ma questa attenzione alla scena planetaria deve accompagnarsi a una rivoluzione nel modo di percepire e di percepirsi. Un essere umano deve essere uno spazio senza confini, capace di confidenza con una farfalla e un buco nero. Se non costruiamo nei prossimi decenni un mondo di persone che amano leggere, che amano ascoltare, che sanno amare le differenze tra i luoghi e tra le creature, vuol dire che siamo già caduti in una sorta di fascismo planetario in cui non avremo un duce ma miliardi di individui in camicia nera, pronti a dare la caccia agli svagati, ai sognatori che non rispettano le regole.

 

 

GUARDARE. Io guardo ogni cosa come se fosse bella. E se non lo è vuol dire che devo guardare meglio.

 

 

ANDATE DOVE NON VA NESSUNO. I luoghi famosi perdono sangue, diventano pura scenografia. Se ancora volete trovare qualcosa da guardare, andate dove non va nessuno. Oggi è in corso un travaso misterioso tra la fama e l’anonimato: vale per le persone e per i luoghi. La bellezza è di chi non sa di averla, non c’è scampo per chi commercia con la sua bellezza. Nessun monumento ci può emozionare quanto la gioia di un luogo vero. Chi è nascosto, allora, stia tranquillo: è inutile farsi avvistare. Quello che conta è essere davvero quello che siamo, stare dove veramente stiamo.

 

 

 

 

 

 

Una poesia del 1981

 

Ma se d’improvviso una sera
ci guardassimo negli occhi
avremmo fatto un buon uso,
un uso semplice e profondo
di noi e del mondo.

Canto per l'Italia nuova

 

 

La prima cosa, cara Italia,

è rimanere sensuali.

La politica

deve accendere le facce come fa un amplesso.

Lottare per la terra senza essere sensuali

serve a poco, metti giù altre parole, fai girare

formiche morte nel sangue, e invece bisogna

alzare in alto le chitarre come hanno fatto in Cile.

Ci vuole nelle piazze un canto a oltranza

e baci e abbracci in abbondanza.

La modernità non va adulata né licenziata:

ci vuole una modernità plurale,

le ragioni delle città e quelle dei paesi,

la comunità che intreccia indigeni e stranieri,

le ragioni dell’utopia e quelle dei banchieri,

il muso delle vacche e Piero della Francesca.

Fuori dal Parlamento

c’è l’Italia alta e silenziosa,

l’Italia marina e collinare,

industriale e inoperosa.

Bisogna costruire un tempo intimo e civile,

politica e poesia,

lo sguardo delle regole

e le regole dello sguardo,

la bellezza di ogni spazio

più che la ruggine del farsi spazio.

Bisogna subito spiegare a chi vota

per i suoi nemici

che il cancro non finisce

con nuove elezioni

e le acque si alzeranno coi profeti

della crescita e delle betoniere,

gli alberi caduti raccontano

di una terza guerra mondiale

in atto: la guerra del clima.

Non ci sono eserciti che si confrontano,

c’è il cielo contro tutti,

un cielo senza angeli

e montagne senza ghiaccio.

Ci vuole subito che la parola terra diventi

il primo motto:

noi siamo la politica della terra,

e questo dice anche della cura per chi sta

nei campi col gusto di fare cibo buono,

cibo per la salute.

Il secondo motto:

noi siamo la politica della salute.

Con noi l’aria torna pulita,

tornano puliti i fiumi, le api stanno meglio

noi le veneriamo come fanno in Slovenia.

Ecco cosa vuol dire essere moderni:

avere Milano e Matera, l’alveare e la Rete.

Il terzo motto:

noi siamo la politica della giustizia.

Noi siamo la politica che in dieci anni

toglierà via dall’Italia il crimine organizzato,

magari resterà qualche folle, qualche malandato,

ma con noi in Italia diventa ridicola

la furbizia, orribile il reato.

Bisogna dire cose grandi e dirle con gli occhi

accesi da entusiasmo,

non è vero che vinceranno,

la loro candela si allunga perché è alla fine.

L’uomo del futuro non può essere nazionalista,

il pianeta può salvarsi solo con un uomo conviviale,

l’uomo profittatore è un rottame:

il capitalismo se vuole restare in vita

deve arrendersi alla poesia, alla gentilezza,

al mistero della morte.

Gli umani che stanno per venire

torneranno all’essere più che al dire,

saranno di nuovo attenti al dolore

degli altri, saranno stufi di finzioni,

sarà bello essere nudi e sinceri.

Il quarto motto:

noi siamo la politica che profuma di gioia,

noi opponiamo le barricate della comunità

alla mestizia dei consumi,

noi opponiamo ai loro muri

una stretta di mano.

Il quinto motto:

noi siamo la politica dell’attenzione,

attenzione alla povertà e al dolore.

La destra è il tempo dell’imbrunire

e la notte è l’avvenire

di chi ora la conduce.

Noi siamo le due del pomeriggio,

siamo le vie senz’ombra,

siamo la politica della luce.

 

Franco Mario Arminio (Bisaccia, 19 febbraio 1960) è un poeta, scrittore e regista italiano, autodefinitosi come «paesologo».