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Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici di Daria Bignardi

I libri sono incontri e, come gli incontri che facciamo nella vita, ci sono incontri che ci fanno bene e incontri che ci fanno male. Naturalmente, quelli che ci fanno male sono quelli che ci aiutano di più a conoscerci e quindi ho pensato che erano quelli i libri di cui volevo parlare.(D. Bignardi)

 

L’ultimo libro di Daria Bignardi, Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici, è uscito ai primi di febbraio di quest’anno.

E’ costruito come una sorta di diario. Ogni capitolo rappresenta un mese dell’anno. Diversamente da altri libri che parlano di letture e di romanzi, riducendo quasi tutto a un elenco di titoli consigliati, questo lavoro di Bignardi ci racconta come i libri, in questo caso quelli che ha letto, tra i tredici e i venticinque anni, hanno influito sulla sua vita, sulle sue scelte. Specialmente da giovani, quando siamo alla ricerca di noi stessi, della nostra identità, gli incontri, anche quelli con i libri, sono quelli che ci spiegano chi siamo o ci sconvolgono o ci aiutano a trovare la strada dove vogliamo andare o dove non vogliamo andare.

 

Bignardi ci parla di tanti libri letti, alcuni famosi, altri meno conosciuti. In modo particolare ci parla di tre libri: Il demone meschino di Fëdor Sologub, La foresta della notte di Djune Barnes e Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche.

 

Il demone meschino di Sologub è il primo in ordine di tempo ed è un romanzo che la scrittrice ha letto precocemente all’età di tredici anni. Sologub è uno scrittore russo e il libro uscì nel 1907. Fu un romanzo fortunatissimo e divenne il più famoso di Sologub che era un poeta simbolista ed assolutista. Per Bignardi Il demone meschino è un romanzo sadico tramite il quale scoprì per la prima volta l’esistenza del male. Il suo protagonista è uno squallido impiegato pubblico che fa ogni scelta per tornaconto personale. Una persona priva di morale che usa gli altri, l’amore e non ha rispetto. Quella che definiremo una brutta persona. Questo romanzo aprì gli occhi alla tredicenne Daria che si rese conto che il male è dappertutto, non solo nei romanzi, ma intorno a noi, nella famiglia e in noi stessi.

 

La foresta della notte di Djuna Barnes è un romanzo del 1936 scritto da un’autrice americana di quelle facenti parte della generazione perduta. Un romanzo letto intorno ai venti anni, in cui Bignardi scoprì l’esistenza della trasgressione, degli amori omosessuali che vengono raccontati nel libro: amori lesbici, amori tormentati che oggi chiameremo tossici. Insomma, la descrizione di un mondo torbido che la impressionò e allo stesso tempo l’attrasse moltissimo.

 

Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche, libro letto all’ultimo anno del liceo. A quell’età l’assolutismo è irresistibile.

 

In questo libro si parla anche di musica, di poesia e di altre cose che hanno a che fare con un sentimento che la scrittrice chiama il piacere di soffrire. Bignardi si è resa conto che non solo in letteratura o al cinema ma anche nella realtà, la vita si dimostra autentica nelle condizioni dolorose e drammatiche. Sono condizioni che da adolescenti ci coinvolgono molto ma da adulti impariamo a governare.

 

Le nostre letture variano durante la nostra vita e ci capita che libri che abbiamo letto ed amato, magari da giovani, non siamo più in grado di rileggerli ed apprezzarli. Ciò non è legato necessariamente al contenuto ma più probabilmente alla forma. Pensiamo magari ad autori amati, letti, quando eravamo adolescenti, uno tra questi Hermann Hesse che da ragazzi ci affascinava, ci esaltava ma che dopo i quarant’anni ci sembra ridondante nella scrittura.  Stiamo maggiormente attenti alla forma, alla scrittura che più appare leggera e asciutta, più risulta efficace e in grado di far male.

 

Un lettura interessante, autobiografica e intima che dimostra come i libri possano anche essere in grado di raccontarci e mostrarci agli altri.

 

LeggereOvunque

 

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